Il Datore di lavoro e la tutela della salute mentale Stampa

Il tema della salute e sicurezza dei lavoratori è uno di quelli che più si presta ad essere letto emotivamente e spesso retoricamente.

Il datore di lavoro è responsabile della salute mentale e sociale dei propri dipendenti e deve adeguare la propria competenza, accrescendo le proprie conoscenze in materia, alla luce del nuovo “bene giudico da proteggere”.

Il DLgs 9 aprile 2008, n. 81, all’Art. 2, c. 1, lett. b) : “datore di lavoro”:

il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa…; e tra le novità, quella di una specifica definizione di “salute” (art. 2, c. 1, lett. o), al quale, il datore di lavoro dovrà prestare interesse particolare poiché, essa è d’ora in poi da intendere come uno “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”.

I profili di “innovazione” insiti in tale formula sono numerosi e di grande interesse, non solo sul piano giuridico.

Un primo fondamentale aspetto di novità, rilevante, specificatamente, sul piano della sicurezza sul lavoro, è che, per la prima volta, viene individuato, in modo esplicito, il bene giuridico da proteggere attraverso quanto previsto nello stesso Decreto n. 81: “l’oggetto” da proteggere con la disciplina citata è rappresentato, d’ora in poi e fino a nuove modifiche normative, proprio da quanto espresso nell’art. 2, c. 1, lett. o), la “salute”.

Una seconda novità concerne la pluralità dei contenuti espressi nella nozione stessa. La formula, infatti, include vari elementi rilevanti giuridicamente:

- la salute, presa in considerazione nella recente formula, è, infatti, uno stato, vale a dire una situazione personale sul lavoro che deve permanere;

- tale stato, come chiarisce la definizione in esame, non consiste “solo in un’assenza di malattia o d’infermità”. Viene così superata la nozione, molto radicata nell’interpretazione giuridica precedente, di una salute intesa, “in senso minimalista”, come semplice mancanza di malattia o di infortunio.

Il mantenimento anche di tale condizione è, evidentemente, pur sempre rilevante, ma non sufficiente a rendere il datore di lavoro esente da eventuali responsabilità;

- lo stato di salute considerato è, altresì, quello del “completo benessere”. Il grado della salute, che il legislatore chiede che sia perseguito, è, quindi, qualitativamente elevato, in quanto corrispondente all’appagamento e alla soddisfazione piena del lavoratore, stati, pur sempre, considerati relativamente alla sola vita lavorativa;

- tale benessere deve essere tenuto presente nel profilo fisico.

Il lato fisico della salute continua a rappresentare una dimensione essenziale (quanto, peraltro, ancora spesso “negata” nelle prassi lavorative) da proteggere. Esso, tuttavia, è da perseguire, secondo la nuova nozione, ad un livello elevato, rappresentato, come detto, da pieno appagamento.

E’ evidente qui il “rimando” implicito del Diritto, ad esempio, all’ergonomia nel senso più moderno del termine:

- lo stato di salute deve essere tale, anche, dal punto di vista mentale. Il profilo psichico era già richiesto dal legislatore nell’articolo 2087 codice civile:

- la novità è che esso, come discende implicitamente da quanto detto, va ora realizzato, non solo in termini di assenza di patologie psichiatriche, ma, in positivo, come situazione psichica pienamente soddisfacente (benessere, appunto);

- la situazione personale di soddisfacimento da perseguire riguarda anche il profilo sociale. Tale lato è, certamente, il più “impervio”, anche, dal punto di vista giuridico, perché introduce, in primo piano, nella cura da realizzare nell’ambito lavorativo, il rapporto del lavoratore con gli altri individui e nei gruppi. Un profilo, evidentemente, più complesso da oggettivizzare, più mutevole e, quindi, più difficile da mantenere nel tempo e più da verificare.

Nel complesso, la definizione di cui all’art. 2, c. 1, lett. o), pur non essendo da considerare del tutto innovativa, impone ai soggetti destinatari un ampliamento della nozione di salute, comprensiva non solo dei profili medici tradizionali della salute, ma anche di profili di qualità della vita lavorativa che determinano, da un lato, un innalzamento del grado di tutela da mettere in atto e che, dall’altro lato, comportano, anche negli enti locali, un’azione organizzativa ben più complessa.

Un secondo profilo di cambiamento organizzativo, sempre per quanto concerne l’azione organizzativa del datore di lavoro per la sicurezza deve riguardare una sorta di ri-orientamento (ed in parte anche una ri-modulazione) della specifica organizzazione dell’ente (si che questo sia pubblico o che sia privato), per la sicurezza sul lavoro.

Il datore di lavoro, senza pretesa di esaurire qui le implicazioni, nello svolgimento della propria attività dovrà, ad esempio, procedere a:

1) individuare adeguatamente, rispetto al bene da proteggere, i titolari dei ruoli in materia di sicurezza. Il vertice gestionale della sicurezza deve individuare i ruoli gestionali (dirigenti e preposti) in grado di gestire adeguatamente le tematiche del benessere del lavoratore, in primo luogo, essendo sicuro che essi siano consapevoli dei varie tipologie di rischio che la salute può correre in ambito lavorativo;

2) designare staff effettivamente competenti in materia.

Lo stesso soggetto deve prestare particolare attenzione nel designare un responsabile (e degli addetti) del servizio di prevenzione e protezione che sia capace di supportarlo tecnicamente proprio in merito alle più attuali tematiche della salute, recentemente valorizzate dal legislatore delegato. Come stabilisce l’art. 31 c. 2, il datore deve attentamente scegliere il responsabile proprio in relazione alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative.

Diviene, altresì, sempre essenziale nominare un medico competente in grado di non sotto valutare le eventuali problematiche psichiche del lavoratore;

3) dare informazione agli staff, ma effettivamente su tutti i rischi. Il datore deve assicurare (art. 18. c. 2), sia al Servizio di Prevenzione e Protezione sia al Medico competente, un’informazione di base relativa alla natura dei rischi (non solo incidenti sul benessere fisico, ma anche su quello psichico e sociale) esistenti nella propria impresa, ritenuta dal diritto essenziale presupposto logico per lo svolgimento dei compiti da parte degli stessi staff.

4) rivedere il documento di valutazione dei rischi.

La redazione del documento, divenuto nel nuovo testo legislativo un obbligo maggiormente gravato di sanzioni, dovrà prendere in adeguata considerazione

i criteri per valutare i rischi psico-sociali, individuando le misure di prevenzione e protezione da mettere in campo per tutelare (oltre al benessere fisico) anche il benessere psichico e sociale;

5) informare adeguatamente anche il lavoratore.

Il datore dovrà procedere ad informare sui rischi di natura psichica e sociale connessi all’attività dell’ente, sulle misure adottate (evidentemente anche in relazione ai rischi psichici e sociali). Egli dovrà formare i lavoratori anche su rischi - danni

- misure-procedure di prevenzione, anche in relazione ai profili di natura psichica e sociale della salute.

Data l’accresciuta pervasività o concetto di salute, appare, inoltre, opportuno anche se non strettamente necessario, sul piano giuridico, coinvolgere nel processo di analisi/valutazione dei rischi, e, in specie, nell’individuazione degli effettivi rischi lavorativi, anche gli stessi lavoratori.

Questa recente nozione di salute valorizza, implicitamente, tali contributi e, soprattutto, deve motivare i datori di lavoro e i servizi di prevenzione e protezione ad analizzare, con sempre maggiore cura, gli “altri” rischi (quali quelli psico-sociali definiti come “aspetti relativi alla progettazione, alla organizzazione e gestione del lavoro, nonché nei rispettivi contesti ambientali sociali, che dispongono del potenziale per dar luogo a danni di tipo fisico, sociale, psicologico”).

Tali rischi alla salute:

- si sviluppano nel rapporto tra l’individuo e l’organizzazione e possono nascere nell’ambito delle relazioni lavorative dell’azienda, ad esempio, nel rapporto tra lavoratore e colleghi, tra lavoratore e superiori;

- derivano, oggettivamente, dal sistema dei ruoli, dalla struttura organizzativa, dalle procedure organizzative, dai sistemi di direzione in genere e persino dal luoghi di lavoro (e dal loro stato, talvolta, degradato).

Come già accennato in precedenza è il datore di lavoro (art. 18, c. 2) a dover innescare il processo “virtuoso” di protezione integrale del lavoratore fornendo al servizio di prevenzione e protezione e al medico competente le informazioni in merito alla natura dei rischi e all’attuazione misure preventive correttive.

Una “pre-analisi” e una “pre-valutazione” di tali tipologie di rischi va, quindi, realizzata, innanzitutto, dal datore di lavoro, che poi deve sapere utilizzare, adeguatamente, il contributo del servizio di prevenzione e protezione chiamato a svolgere, tenendo presente la formula di legge sulla salute, il lavoro tecnico e specialistico sui fronti:

- dell’individuazione dei fattori di rischio e della valutazione dei rischi e dell’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti

di lavoro;

- dell’elaborazione delle misure preventive e correttive e dei sistemi di controllo di tali misure;

- della proposta di programmi di informazione e formazione dei lavoratori.

E’ da ricordare che proprio il DLgs n. 81/2008 ha rafforzato, in generale, l’importanza di tale fase della gestione della sicurezza imponendo pesanti sanzioni in relazione proprio alla mancata valutazione di tutti i rischi presenti nello specifico ambito lavorativo.

Il benessere fisico, mentale e sociale dei singoli lavoratori può essere, infatti, realmente perseguito solo qualora tutto il sistema organizzativo aziendale, comprensivo ad esempio, della funzione specializzata sulla persona, dei dirigenti e dei “capi-ufficio-reparto” e della generalità dei lavoratori che fanno parte della singola organizzazione lavorativa, sia mobilitato, nel mentre realizza i propri compiti, a preservare, allo stesso tempo, il benessere, in ambito lavorativo, di tutti coloro che collaborano nell’azienda.

Luca

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