Cerchiamo di dare l’importanza che meritano a queste elezioni del Parlamento Europeo e non cadiamo nella trappola dell’astensionismo derivante dallo schifo che ci travolge ogni giorno. Cerchiamo di vedere oltre la coltre di fumo televisivo che propinano, dai programmi di intrattenimento ai telegiornali. Ne va della nostra sopravvivenza come soggetti pensanti, nel mondo del lavoro stabile e precario e di cittadini con la speranza del lavoro. Ci hanno fatto cadere addosso una crisi finanziaria, economica e sociale tremenda; essa amplifica e peggiora la crisi alimentare, energetica ed ecologica. Questa crisi è causata principalmente dall'irresponsabilità delle élites economiche e politiche che hanno portato avanti questo capitalismo d’azzardo ma a pagarne il prezzo sono le persone sulle quali questo azzardo è stato praticato ed arricchito ancor di più chi già era straricco. Oggi, appare chiaro, ancora una volta, il fallimento di quella globalizzazione neoliberista che ci è stata propinata per vent’anni come salvifica produttrice di benessere diffuso, nei fatti ha massimizzato i profitti del mercato finanziario producendo mancanza di democrazia e fine dello stato sociale esistente dalla fine degli anni '60, conquistato dalle lotte sindacali e politiche che hanno cambiato la cultura di subordinazione individuale e collettiva.
Questo fallimento del sistema economico ha causato bassi salari e lavoro precario, privatizzazione dei servizi pubblici e deregolamentazione delle stesse leggi statali. L’Unione Europea, che tante aspettative aveva creato, oggi interferisce negativamente nella vita delle persone in Europa. Quindici anni dopo il Trattato di Maastricht le condizioni di vita e le condizioni lavorative della maggioranza della popolazione europea sono rapidamente peggiorate; orari di lavoro più lunghi, salari insufficienti, aumento della durata della vita lavorativa, aumento della disoccupazione giovanile e della disoccupazione a lungo termine, lavori brevi, impieghi temporanei e stage non retribuiti costituiscono una scandalosa realtà. I servizi pubblici vengono utilizzati per fare profitti. A questi elementi materiali si accompagnano quelle sofferenze poco visibili nel breve periodo e tutte vissute individualmente o in famiglia senza nessun sostegno sociale. Ci riferiamo alla pressione psicologica e fisica, alle malattie, alla paura, alla perdita di solidarietà e la violenza contro i più deboli. Nel merito, l’esempio più chiaro per la violenza imposta dal governo al fenomeno è la situazione dei migranti. Loro, insieme al sempre maggior numero di italiani poveri, sono i drammatici riflessi dei profitti di pochi aumentati vertiginosamente, con un’anomalia tutta italiana: i manager ricevono stipendi astronomici, anche se il loro agire ha delle conseguenze negative sull’economia nazionale. I ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri. Quindi, la decisione è riposta nelle mani delle persone escluse dal benessere e di quelle prossimamente sull’orlo della disoccupazione se continueranno queste politiche economiche. Per superare la rassegnazione o l’astensionismo noi diciamo: un'alternativa esiste. Le politiche, siano esse a livello nazionale o europeo, devono e possono essere cambiate. Ciò necessita di una nuova sinergia tra le forze politiche e sociali. Ciò ha bisogno di idee, di iniziative e di un lavoro costante degli attori politici e delle forze democratiche, dei sindacati, dei movimenti sociali e dei rappresentati della società civile. Le alternative sono possibili attraverso una lotta comune sia nelle strade che nei parlamenti. Le politiche neoliberiste nell’Unione Europea sono state rese possibili, tra le altre cose, anche grazie a una sorta di grande coalizione tra i partiti delle forze conservatrici europee e i partiti dei socialisti europei, tra cui il PD e il partito di Di Pietro. L’attuale politica salariale, la crisi ambientale e sociale dovrebbero essere sostituiti da standard europei sostenibili in grado di prevenire la povertà. Le sentenze della Corte Europea di Giustizia costituiscono un forte attacco ai contratti collettivi e alle regolamentazioni in materia di lavoro, noi sottolineiamo l’esigenza di rafforzare i contratti collettivi ed i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Rigettiamo la direttiva dell’UE che estende l’orario di lavoro oltre le 65 ore settimanali permettendo una totale flessibilità e aumento dell’individualizzazione del lavoro. Crediamo che le regolamentazioni sull’orario di lavoro debbano ammettere un massimo di 40 ore settimanali. Tale punto per noi risulta essenziale. Le regolamentazioni nazionali migliori dovrebbero essere preservate. Chiediamo un salario minimo europeo che rappresenti almeno il 60% della media dei salari nazionali e che non metta a rischio i contratti collettivi. Un reddito minimo per i disoccupati, così come una pensione minima vincolata al salario minimo e automaticamente aggiustata all’evoluzione dei prezzi è necessaria per garantire una vita dignitosa. Età pensionabili flessibili dovrebbero essere garantite, prendendo in considerazione le attuali regolamentazioni vigenti negli Stati Membri dell’Unione Europea. L’educazione, la tutela dei bambini e degli adolescenti, le malattie e la terza età, sanità, rifornimenti d’acqua e dispositivi di fognatura, rifornimenti di energia, trasporto pubblico, servizi postali, sport di massa e cultura non sono beni commerciali ma servizi pubblici che appartengono alla responsabilità dello Stato. Per questo, non devono essere soggetti alla competitività al ribasso dei costi per l’ottenimento di maggiori profitti. Non vogliamo servizi pubblici e beni privatizzati ma una inversione di tendenza o riconversione in proprietà pubblica. Siamo a favore di servizi pubblici forti e di aziende controllate pubblicamente, di maggiori investimenti nel settore educativo, infermieristico e della sanità, dei trasporti pubblici, dello sport e della cultura. Per noi le questioni climatiche e sociali sono correlate. Per questo motivo l’attuale crisi finanziaria ed economica non può essere scissa dalle sfide poste dal cambiamento climatico e all’esigenza di modificare il nostro modello produttivo e consumistico. Siamo a favore di uno sviluppo immediato e consistente di un nuovo trattato internazionale in accordo con il 4° Report prodotto dal Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico e aderiamo al piano di azione dell’UE 2007-2009. Chiediamo una piena implementazione degli obblighi firmati e promessi dall’UE in tutti i settori relativi alle politiche climatiche ed energetiche. I seguenti compromessi costituiscono i punti minimi da applicare per poter realizzare gli impegni già assunti: • ridurre le emissioni globali del 30% entro il 2020 sulla base dei livelli del 1990 e di almeno l’80% entro il 2050; • aumentare l’utilizzo di energie rinnovabili di almeno il 25% entro 2020; • ridurre il consumo totale di energia primaria del 25% entro il 2020 e aumentare l’efficienza energetica del 2% annualmente includendo un limite al consumo pro capite; • introdurre l’obbligo di efficienza per l’industria e per i produttori di beni ad alto consumo di energia; • limitare il quadro dei sussidi della UE conseguentemente al settore dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili. Siamo contro la riduzione del protocollo di Kyoto ad un sistema di mercato delle quote di emissione. Occorre invece, per arrivare alla stipula di Kyoto 2 una nuova strategia complessiva che consenta di ridurre le emissioni rendendo più equo e sobrio lo sviluppo. È necessario un nuovo paradigma fondato non sulla competizione, ma sulla cooperazione, a partire dal trasferimento tecnologico ai paesi in via di sviluppo, dal finanziamento delle tecnologie pulite e dalle politiche di aggiustamento dei cambiamenti climatici. L’acqua è un bene universale e l’accesso ad essa deve essere garantito e inteso come diritto umano. La protezione della natura e lo sviluppo di risorse rinnovabili, la trasformazione dei nostri paesaggi, così come la sicurezza del fabbisogno alimentare sono sfide esistenziali. Chiediamo che ci sia un accordo per il raggiungimento degli standard ambientali più alti all’interno dell’Unione Europea per contribuire a salvare la biodiversità per le generazioni future (passi concreti per la riduzione di rifiuti, protezione delle acque, politiche di prevenzione della desertificazione e ripopolamento verde, ecc, tutto ciò deve essere incorporato nelle strategie e nelle politiche, in particolare nei settori agricoli, e di protezione energetica e climatica). Ecco, ogni voto dato alla lista comunista è un voto per un’Europa di pace, sociale, ecologica, democratica e femminista che vive in solidarietà! Non perdiamo questa occasione per farci sentire come lavoratrici e lavoratori, come cittadine e cittadini; certo ce ne saranno altre di occasioni (se il governo non inficerà le elezioni) ma saranno sempre meno importanti se non ricominciamo a farci rappresentare dalle nostre teste pensanti. Vota Comunista. Redazione Lavoro e Salute (in condivisione con il programma della Sinistra Europea)
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