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Come va la sanità in Piemonte? PDF Stampa E-mail

Per rispondere a una domanda come questa occorre avere a disposizione un insieme di fattori, che non siano semplicemente annullati dalla polemica politica. Quest’ultima esiste, contribuisce molto probabilmente a determinare il complesso dell’opinione pubblica, ma non è affatto utile a un’analisi seria.


Su un recente numero di “Il Sole 24 Ore Sanità” è stata pubblicata una ricerca condotta dalla Scuola Superiore S. Anna di Pisa, in cui si comparano i risultati in sanità di tutte le regioni italiane e da cui emerge che il Piemonte si trova in posizione d’eccellenza accanto ad altre realtà del centro nord. Si tratta di un punto di partenza interessante perché, a far base sui dati riferiti al 2007, la ricerca è stata prodotta utilizzando ben 29 indicatori (come ad es. il governo della domanda, l’appropriatezza, tassi di ospedalizzazione ecc...) e otto osservazioni.

Il sistema utilizzato prevede quattro dimensioni riferite ai L.E.A. (Livelli Essenziali di Assistenza): assistenza ospedaliera; assistenza distrettuale; assistenza farmaceutica; assistenza sanitaria collettiva e di prevenzione.


Il buon risultato del Piemonte è da interpretare, dunque, come un avanzamento complessivo, di sistema, collegabile direttamente allo sforzo di immettere in ogni direzione politiche di riforma, che magari non sono immediatamente percepibili in ogni singolo punto della rete sanitaria, ma che certamente stanno lavorando nella direzione giusta. Quando, nei primi tempi della legislatura regionale, si approntarono i primi elementi di cambiamento e quando si approvò il Piano Socio Sanitario spesso si ascoltavano commenti tesi a far emergere il lato puramente formale di quegli atti. Oggi sappiamo invece, che non si trattava solo di “scartoffie”. La sostanza sta emergendo ed è difficile contrastare i dati di indagini scientifiche e oggettive. Certo si può e si deve fare sempre più e meglio, ma intanto altri e ulteriori indicatori recenti, come il funzionamento del “filtro” della sanità territoriale che ha fatto diminuire il tasso di ospedalizzazione del 5%, testimoniano di una tendenza positiva anche dopo il 2007, anno prescelto dalla ricerca del “Sole 24 Ore”.


Se questa è, in stringata ma illuminante sintesi la fotografia attuale della nostra sanità, è del tutto evidente che il suo futuro sarà determinato anche, e in modo non irrilevante, da scelte attualmente in discussione sul tavolo Stato – Regioni. Nelle scorse settimane il Governo ha presentato il cosiddetto Patto per la Salute, un documento che appare come uno schema di adempimenti verso il livello centrale a cui le Regioni si devono adeguare. Nella prima stesura si prevedevano, tanto per citare alcune “chicche”, tagli di posti letto nelle residenze sanitarie per anziani, riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri, la definizione di riduzione stabile della consistenza organica del personale. La reazione delle regioni è stata dura, giustamente dura per respingere al mittente queste vere e proprie provocazioni. Il sottofinanziamento del Fondo Sanitario nazionale continua ad essere un punto ineludibile e centrale per chi si trova a livello regionale a dover fare I conti con il mantenimento di livelli accettabili di salute. Se pensiamo al Piemonte, risulta evidente un invecchiamento della popolazione, dato questo di per sé positivo, che richiede però una capacità d’intervento costante. Garantire una vita più lunga con buoni standard di benessere e salute ha dei costi ed è per questo che serve più chiarezza e disponibilità da parte del Governo. Le regioni hanno chiesto 3,5 miliardi in più non a caso. Senza risorse si metterebbe ulteriormente in crisi il sistema pubblico della salute e, forse questo interessa davvero in settori governativi, si aprirebbero nuovi spazi per lo sviluppo di un “terzo pilastro”, cioè del sistema a capitalizzazione e ai privati.


Su questo doppio tema, la valorizzazione dei risultati ottenuti in Piemonte e il contrasto alle linee nazionali, dobbiamo concentrare le nostre energie. Non basta, infatti, la delega all’istituzione sia per fare le riforme, sia per contrastare le controriforme. Una buona azione politica deve essere rivolta alla ricostruzione di spazi pubblici e di coalizioni sociali che discutano di questi temi. Un padre della medicina del lavoro come Maccacaro sosteneva che “lungo la storia corre, come un filo rosso, una domanda di partecipazione, sempre negata in nome della tecnica”. Oggi quella considerazione è ancora valida, ma è parziale. Non c’è solo la tecnica che pretende suoi spazi decisionali assoluti, ma c’è anche la politica ad aver distrutto e abbandonato l’idea della partecipazione in nome del decisionismo, del governo dall’alto. La salute, l’organizzazione sanitaria, forse più di qualsiasi altro settore, meritano invece di poter inserire la loro complessità, l’insieme delle loro priorità, in un contesto di condivisione e di progettazione collettiva. Anche questo, forse soprattutto questo, è cimento centrale per chi vuole continuare efficacemente una lotta a favore del diritto alla salute in Piemonte.


Alberto Deambrogio

Consigliere regionale di Rifondazione Comunista