Liste d’attesa PDF Stampa E-mail

 

 

Ci sono servizi e prestazioni del servizio sanitario conosciute dai cittadini quando questi ultimi vi si accostano; altri a cui tutti – in conseguenza dell’evidenza mediatica – sono sensibili, indipendentemente dalle esperienze dirette. È il caso delle liste di attesa che costituisce non casualmente l’oggetto più ricordato del ministero Storace o meglio la clava più potente con la quale si è teso a delegittimare il decentramento alle Regioni del sistema sanitario; infatti a prescindere dalle maggioranze regionali è il tema più agitato nel conflitto politico ed è la causa principale del risentimento dei cittadini.

Perché non si riesce a porvi mano? Le prestazioni ambulatoriali di prima visita e di diagnostica crescono annualmente nella nostra Regione del 16% nel privato accreditato e del 13% nel pubblico in quanto a volumi di spesa: non stiamo certo risparmiando, quindi!

I tempi di attesa, tuttavia, non sono ancora soddisfacenti e, soprattutto, per quante risorse vi si riversino non si riesce a raggiungere livelli giudicati accettabili dai cittadini i quali non trovano tollerabili nemmeno i 30 giorni per prima visita e i 60 giorni per la diagnostica, come contemplato dal decreto Storace.

Le persone hanno ormai appreso l’impiego dei codici nelle prescrizioni del medico di famiglia o dello specialista, ma anziché essere percepito come una regolazione equa a tutela dei più deboli viene “stressato” ai fini di aggirare I tempi. La nostra Regione garantisce i codici U (urgenza) e B (brevi) rispettivamente nelle 48 ore e nei 15 giorni tutelando così le condizioni più preoccupanti, ma questa informazione non viene mai valorizzata anche perché il principio di solidarietà di un sistema non “va di moda”.

Per riflettere sul tema sono utili alcuni dati: in Piemonte la media di utilizzo di prestazioni ambulatoriali è di 7,57/abitante; in Liguria di 4,56/abitante; in Umbria di 3/abitante.

Poiché gli indici di malattia e di durata della vita non si discostano significativamente (la Liguria ad es. è la regione più longeva), queste differenze non si spiegano soltanto con lo stato di salute delle popolazioni.

Nella media regionale si riscontrano significative differenze tra le Province: nel territorio della ASL TO1 la media per abitante è di 10,7; a TO2 è di 11,3; nell’ASL di Novara circa l’8; di Vercelli circa il 7; di Biella del 3,94…

È utile considerare, infine, che nella Provincia di Torino insistono i 2/3 dei soggetti erogatori privati accreditati. Si può ragionevolmente supporre che subiamo una induzione della domanda le cui ragioni possono essere molte, compreso il mantenimento di un sistema cresciuto tra il 2000 e il 2004 del 135,9% nel privato accreditato.

Tra i motivi figura sicuramente la medicina difensiva, potendosi sempre dimostrare la prescrizione di analisi e diagnostica strumentale piuttosto che l’accuratezza di una visita; conta anche il bisogno di rassicurazione e l’aspettativa delle persone; soprattutto si impone il tema dell’appropriatezza ovvero la motivazione e la necessità nonché la cautela dovuta rispetto all’esposizione delle persone, ad es. al rischio radiologico.

Si può pensare che lo stile dell’appropriatezza sia affidato alla competenza e all’etica dei professionisti oppure si può provare a praticare azioni di sistema che, correlando prestazioni e diagnosi, tipologia delle attività , tempi di effettuazione, indichino la fondatezza del ricorso a tali prestazioni.

Qualche correzione si è compiuta nel passaggio di alcune funzioni dalla degenza al day surgery e da quest’ultimo all’ambulatoriale, ma ci si dovrebbe chiedere per quale ragione si susseguono i Governi e finora nessuno sia riuscito ad adottare un nomenclatore tariffario nazionale ed i tentativi fatti, ad es. dal ministro Turco nel secondo governo Prodi, siano naufragati sotto la scure dei ricorsi presentati dalle associazioni dei produttori.

Ogni Regione così si trova su una materia contenuta nei Livelli Essenziali di Assistenza, quindi di profilo nazionale, ad agire in modo solitario e in più unilaterale visto che non si riesce a concertare una posizione condivisa tra amministrazione, erogatori convenzionati, società scientifiche.

Di qui i tentativi di definire tetti di spesa e volumi di attività attraverso il contratto aziendale ovvero quello strumento tra azienda sanitaria ed erogatori in cui il sistema pubblico definisce il fabbisogno, individua come soddisfarlo (se con l’attività propria di ambulatori e ospedali o con il ricorso a strutture private), stabilisce su quelle basi la spesa annuale.

Questo atto di regolazione discende da norme nazionali, inapplicate nella nostra regione fino al 2008 ed è proprio sull’introduzione di questa regola elementare che si è scatenato il conflitto. Sicuramente i cittadini hanno sperimentato il tentativo di prenotare, le risposte negative a causa della Regione che “non paga più”, la controproposta per la stessa prestazione di un prezzo agevolato in regime privatistico.

A turbare ulteriormente il quadro, insistono le diverse forme di assistenza sanitaria integrativa.

Il termine stesso “integrativa” implicherebbe funzioni complementari, non garantite nei Livelli Essenziali di Assistenza quali l’odontoiatria; invece no.

Molte forme di assistenza integrativa sono sostitutive ovvero costruiscono corsie preferenziali per la specialistica ambulatoriale o rimborsando i ticket o – tramite convenzioni tra assicurazioni e gli stessi privati accreditati col servizio sanitario – evitando tempi di attesa. Tali forme non sono molto diffuse; tuttavia rischiano di creare un paradosso: che in un sistema ad accesso universale ci siano serie diverse di cittadini, tra quelli garantiti “solo” dal servizio sanitario e quelli della doppia protezione.

Per leggere questa complessità occorrerebbero delle alleanze: le rappresentanze dei cittadini nel loro compito di tutela dei diritti rivendicano la riduzione dei tempi, indirettamente legittimando l’aumento della domanda e della spesa; gli erogatori privati minacciano – in assenza di aumento dei trasferimenti economici- una riduzione del personale e quindi le organizzazioni dei lavoratori diventano parte in causa; il dibattito politico alternativamente invoca il contenimento della spesa e subito dopo la riduzione della lista di attesa. Gli attori, quindi, sono numerosi, rappresentativi e contradditori.

Ciò che manca è uno spazio pubblico nel quale il tema possa essere affrontato sotto il profilo dell’appropriatezza e dell’equità: in questa direzione si è avviato il progetto concordato con le OO.SS. Della dirigenza sanitaria e del comparto sul contrasto ai tempi di attesa.

Non si tratta, soltanto, di coinvolgere – verificandone la disponibilità – gli operatori del SSR in un impegno straordinario, ma anche strutturale: si sono, infatti, individuate quelle prestazioni che per frequenza e impatto sullo stato di ansia delle persone sono maggiormente sollecitate e si promuovono prioritariamente le relazioni tra ASL (ambulatori e presidi) e ASO affinché i diversi livelli del sistema pubblico svolgano il ruolo di riferimento corretto per competenza e complessità.

I progetti predisposti dalle Aziende non dovranno configurarsi come evento straordinario, seppure da avviare in tempi ravvicinati e con una concentrazione di diverse misure, ma come anticipazione sperimentale di azioni di sistema volte a monitorare l’appropriatezza, ad ampliare l’offerta senza indurre la domanda, a consolidare la continuità assistenziale.

Con la collaborazione delle professioni pubbliche si proverà ad agire non solo sulla quantità e suddivisione dei mezzi disponibili, ma sulla qualità.

 

Intervento di Eleonora Artesio

Assessora regionale alla salute e Sanità Piemonte